Galleria MUTABILIS, Torino.

Dialektiké: Phos-Skotos.Ecomuseo del Freidano, Settimo Torinese, Novembre 2018.

R8 Casa dei Carraresi. Ottava rassegna di arte contemporanea. Dal 01 al 09 settembre 2018

TRAMANDA. Il filo tra passato e futuro.

17° PREMIO DI NOVARA

2° Premio categoria Pittura – “Wave” – tempera su carta

A doppio filo

Settimana Rassegna di Arte Contemporanea

Mostra Texture

8 – 28 gennaio 2017, Cripta di San Michele Arcangelo Via Giolitti 44 Torino

UT PICTURA POESIS

Il titolo dato dall’autore all’esposizione TEXTURE deriva dal termine Textura (dal latino tessuto, tessitura o disposizione delle parti) ed è evocativo del percorso sotteso che, non solo lega in uno strutturato intreccio ogni sua opera ma, altresì, ne determina lo svolgimento.
Ogni lavoro esposto, sia esso un dipinto, sia studio grafico propedeutico alla realizzazione di elaborati tessuti jacquard o un’acquaforte , racconta del suo personale cammino artistico.
I soggetti prevalenti (i fiori orientali, le nature morte, i paesaggi, gli arabeschi vegetali), originati dall’osservazione del vero non sono però pedissequa descrizione del naturale, sono invece composta ricerca della loro intima essenza, sono riflessione ponderata.
Se ci affidiamo ad una lettura diacronica delle opere di Stefano Fontana, troveremo che esse procedono da quelle più descrittive verso una formulazione via via più astratta del soggetto, espressa nei più recenti lavori.
Il linguaggio espressivo all’origine di ogni sua opera, si fonda sulle solide basi della grammatica pittorica: il disegno. Ed è proprio al progetto grafico a cui Fontana affida la struttura portante della sua ricerca, con un segno limpido e virtuoso, mai impulsivo, da cui non si allontana neppure nelle opere scopertamente meno architettate.
Il disegno, come affermava Plinio il Vecchio, è “pittura lineare”.
Nei secoli più antichi, esso non poteva considerarsi vera e propria categoria espressiva scelta dall’artista come peculiare linguaggio, ma sola qualità tecnica. Tale specificità, andò mutando a partire dal tardo Trecento, quando grazie alla cultura umanistica si affermò una trasformazione radicale che condusse all’assunzione di significato del progetto grafico, come origine e fondamento di ogni manifestazione figurativa e guida imprescindibile nella formazione e creazione degli artisti.
L’indissolubile intreccio che lega così le scelte tecniche agli scopi rappresentativi, è sempre stato chiaro agli artisti ed è vieppiù evidente in quelli che potremmo definire i risvolti artigianali del loro procedere.
Di fatto anche per Fontana la sua espressività discende da una pratica che non si improvvisa, il mestiere che lega artista e artigiano, nel significato non discendente ma paritetico di ideatore–realizzatore, in perenne sfida tra linguaggio espressivo e tecnica.
L’unità nella elaborazione artistica e artigianale, trova così illustri precursori, non genericamente nella storia delle arti, ma nell’intreccio che fonde ricerca artistica e produzione seriale, evidente nella progettazione e realizzazione dei tessuti Jacquard, perfettamente conformi alle teorie dell’Arts and Craft di William Morris.
Il repertorio di manufatti dell’industria tessile del design, qui esibiti, sono concepiti e realizzati come opere d’arte; esempi artisticamente indipendenti rispetto alla loro funzione d’uso.
La trama e l’ordito costruiscono immagini riconoscibili ma, i delicati rapporti chiaroscurali ottenuti dal rilievo del tessuto, sono per l’autore ricerca cromatica che sfida la rigidità meccanica del procedimento.
L’elaborazione creativa porta alla realizzazione di stoffe, in cui il motivo ornamentale e i materiali sono in serrato dialogo. Tale peculiarità non si esaurisce però con il passaggio dal modello derivato dal naturale, elaborato in grafico vettoriale per essere tessuto, ma torna ad essere apparenza dipinta, in opere che tendono al superamento della forma verso l’astrazione.
Le immagini ingrandite, abbandonando la riconoscibilità immediata del soggetto ne mantengono però una traccia che, muta in forma astratta, in attenta relazione tra idea e misurato gesto, tra segno e cromia.
Il passaggio dalla rappresentazione alla non oggettività è quindi solo variazione di una stessa ricerca, volta ad indagare le origini del reale. Investigata da Stefano Fontana attraverso un percorso in divenire; un armonico linguaggio figurato che, gli antichi teorici avrebbero definito Ut Pictura Poesis.

Testo critico a cura di Laura De Fanti

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Mostra Dialektikè 2016

Eco Museo del Freidano – Settimo Torinese (TO)

Precedenti esposizioni – 2016

Mostra Arte a tutto tondo

Nel Dicembre 2015 Stefano esibisce i suoi progetti tessili e le relative realizzazioni jacquard nella Mostra curata da Enzo Fornaro “ARTE A TUTTO TONDO” presso la Galleria AUKSO PJUVIS nel Business Center BLC di Kaunas in Lituania.

Il CIBO NEGLI EX LIBRIS

Nel 2015 Stefano Fontana partecipa al concorso d’incisione IL CIBO NEGLI EX LIBRIS per l’EXPO 2015, la sua acquaforte viene pubblicata in catalogo ed esposta alla Libreria Braidense di Milano.

Mostra Arte Club 1993

[…] La pittura di Fontana, ricca di luci e suggerimenti misteriosi, si accompagna spesso a materiali curiosi che, serviti durante l’esecuzione del dipinto, lasciano intravedere tutto l’iter del procedimento. Il quadro diventa così un oggetto che rivela ogni segreto, suggerisce il senso dell’interazione  fra materiali diversi. E il gioco non è gratuito. “Dietro la tappezzeria”, un frammento utilizzato come collage su un fondo di pittura, dove le possibilità della tempera sono usate con sapienza antica, è per me uno dei quadri più suggestivi; lo scatto gioioso dei fiori della tappezzeria contrapposto alla delicatezza sognante del fondo insinua, in chi guarda, sensazioni musicali. In “Dorica” e in “Ai lampi del magnesio” la luce ha suggerimenti diversi, sola protagonista del soggetto, mentre negli studi “Sui fiori orientali” l’astuzia decorativa affiora con risultati di grande finezza.

[…]

Nando Eandi

Torino, Marzo 1993

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Impression, Cetona. Mostra personale di Stefano Fontana

Critica di Ettore Ghinassi

Per Stefano Fontana

Chi, per un certo tempo, per professione o anche solo per diletto, abbia frequentato la cultura figurativa torinese del novecento, non tarderà a scoprirne l’inconfondibile cifra in queste opere di Stefano Fontana.
Il rigore e la disciplina pittorica, il gusto alessandrino per la finezza esecutiva (con la riscoperta ad esempio di tecniche sofisticate come la punta d’argento), ma senza acribia o puntigliosità da ossessione mimetica – essendo anzi irrinunciabile, una necessità estetica, la freschezza della stesura cromatica, l’immediatezza un po’ selvatica della traccia depositata senza pentimenti – infine il calcolo compositivo, che sa trasformare un supporto neutro in un campo di forze, una testura ritmica di pieni e di vuoti, in cadenze di toni bassi e luci smorzate e accensioni, sono tutti caratteri appartenenti di diritto, e quasi in esclusiva , a quel modo di intendere la pittura che dal magistero di Felice Casorati arrivò a lambire anche gli artisti della fronda anticasoratiana; Albino Galvano, i Fratelli Casoni, i sublimi Mario Davico e Gino Gorza, con la sola eccezione forse di Carol Rama, irriverente ed eretica per nascita.
Artista giovane, lontano da quei maestri di due generazioni, Stefano Fontana ne ha tuttavia appreso la lezione fondamentale: che l’invenzione – l’invenzione autentica, quella che si apparenta con nomi strani e si chiama ora il nuovo, ora l’inatteso, ora l’intangibile, ora il senza riparo – non percorre la strada delle trovate tematiche, della smania espressiva di contenuti ideologici o simbolici o letterari, ma scaturisce dalla pittura stessa entro le sue stesse trame: dalla pittura che si dipinge, dalla mano che si cerca e si addestra, dall’occhio che riesce a captare quell'”impercettibile tremito del finito”, quel sovrappiù di grazia e di potenza del quale l’opera, per dirla con Agamben, ” si circonda e si aureola”.
È così allora che lavorando da pittore e solo da pittore, Stefano oltrepassa spesso (e, per chi scrive, felicemente) la barriera del naturalismo, l’urgenza narrativa, per lasciare che l’atto di depositare un segno, un colore, una separatrice d’ombra diventi un puro grafema pittorico, avventura della mano che si interroga, e insegue e “segna” un movimento, riconoscendovi una propria indole, una singolarità di relazione tra soggetto e mondo. Che poi quel grafema abbia un significato, un senso, un fine, è faccenda che ri-guarda chi guarda e non chi dipinge, se è della razza di coloro che si ritrovano nelle parole di un indimenticabile maestro che diceva della sua pittura: “…una protoscrittura, un impulso afasico, linee di un non-luogo – o, all’inverso, pura deissi: il monosillabo ‘qui‘ – pneuma di pelle albina in un ovoide” (da una lettera di Gino Gorza del 9 gennaio 1998)

ettore ghinassi

Viareggio 2 settembre 2004